Lo straining
La traduzione dal verbo inglese “to strain” significa stressare, tendere, sforzare ed il concetto di straining trova le proprie basi in ambito psicologico, in particolare nel ramo della psicologia del lavoro, si vedano in particolare gli studi del dottor Herald Ege.
Si tratta in sostanza di uno stress indotto da condotte vessatorie da parte del datore di lavoro, con effetti pregiudizievoli sulla salute del lavoratore.
E’ un tipo di stress, superiore rispetto a quello della tipica prestazione lavorativa ed è diretto nei confronti di una vittima intenzionale e con il fine di cagionare un peggioramento permanente della sua condizione lavorativa.
La letteratura scientifica, ritiene che affinché tale condizione possa assurgere ad una fattispecie nociva idonea a determinare un danno nel lavoratore, è necessario:
- un conflitto sul luogo di lavoro;
- che le conseguenze dell’azione ostile siano costanti;
- una durata di almeno sei mesi delle condizione stressogena;
- che le azioni siano consistite in attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, demansionamento o privazione di qualunque incarico, attacchi contro la reputazione della persona, violenza o minacce di violenza, sia fisica che sessuale,
- una condizione di costante inferiorità della vittima;
- che il conflitto sia pervenuto alla fase in cui la vittima percepisce le conseguenze come permanenti;
L’elaborazione giurisprudenziale del concetto di straining
Nel nostro ordinamento, il legislatore non ha ancora provveduto ad una tipizzazione del concetto di straining, ma la giurisprudenza da circa una quindicina di anni ha provveduto a fornire delle specifiche coordinate per l’inquadramento del fenomeno. (Trib. di Bergamo 20 giugno 2005)
La giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha più recentemente ritenuto che, ai sensi dell’art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l’adozione di condizioni lavorative “stressogene” (cd. straining ).
A tal fine il giudice del merito, pur se accerti l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di “mobbing”, è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti – per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto – possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell’esistenza di questo più tenue danno (Cass. Civ. 3291/2016 e Cass. Civ. 18164/2018).
Straining e mobbing
Lo straining consiste nell’adozione di condotte lavorative stressogene che possono determinare la sussistenza di un più tenue danno a fronte di condotte datoriali non sorrette da un intento persecutorio idoneo a configurare una condotta di mobbing.
Lo straining è quindi una condotta vessatoria fonte di responsabilità ex art. 2087 c.c. anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio.
E’ sufficiente che il datore – anche con una sola azione ma dagli effetti che si protraggono nel tempo – infligga al lavoratore una condizione di stress eccessiva rispetto a quella normalmente collegata alle sue mansioni, che possa comprometterne le condizioni salute psicofisiche.
Proprio perché manca una specifica normativa in proposito, i confini fra straining e mobbing non sono chiaramente definiti: quello che è certo che nello straining non è necessario l’intento persecutorio.
E’ possibile affermare che lo straining sia una versione più lieve del mobbing? Dal punto di vista di chi scrive, le differenze sono sostanzialmente due.
La prima è appunto la discriminante dell’intento persecutorio che nello straining può essere totalmente assente, la seconda è che gli effetti pregiudizievoli per il lavoratore possono essere ben più gravi a seguito di una condotta stressogena. Gli effetti delle tue tipologie di condotte sono soggettivi e le lesioni alla salute del lavoratore dovranno essere accertati caso per caso.
Cosa deve provare il lavoratore?
In un eventuale giudizio per ottenere il ristoro del pregiudizio subito, il lavoratore ha l’onere di provare:
- le condotte del datore di lavoro fonte di stress eccessivo;
- il danno subito;
- il nesso causale tra comportamento (condotta) del datore di lavoro ed il danno.
Infatti come precisato dalla Suprema Corte: “incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorati svolta, un danno alla salute, l’onere di provare, oltre all’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra.” (Cass. Civ. 24883/2019)
Per qualsiasi eventuale chiarimento in merito a quanto esposto sullo straining o comunque sul tema delle condotte vessatorie da parte del datore di lavoro, potrete trovare i recapiti dello studio legale nella sezione “contatti“.