Volto di donna piangente

Il danno morale

Il danno morale: definizione

Il danno morale si può definire come un pregiudizio che riguarda la sfera interiore di un soggetto, e che non è direttamente valutabile in termini economici: si tratta pertanto di un danno essenzialmente “non patrimoniale”. Il risarcimento danno morale, almeno di regola, può essere richiesto solo quando il fatto da cui deriva costituisce reato (vedi l’art. 2059 del codice civile e l’art. 185 del codice penale).

La giurisprudenza, tuttavia, ha ritenuto il danno morale risarcibile anche quando la legge espressamente consente il ristoro di tale danno e allorquando il fatto illecito lede in modo grave diritti inviolabili della persona costituzionalmente protetti.

A riguardo, come precisato in sede giurisprudenziale circa la nozione di danno morale, quest’ultimo deve intendersi quale lesione della dignità o integrità morale, massima espressione della dignità umana e assume specifico e autonomo rilievo nell’ambito della composita categoria del danno non patrimoniale, anche laddove la sofferenza interiore non degeneri in danno biologico o in danno esistenziale (Cass. Civ. n.1361/2014)

In altri termini il danno morale consiste nella sofferenza contingente, nel turbamento dell’animo, nei patemi, disagi, ansie, dolore, ecc. determinati da un illecito che il soggetto ha subito. Per esempio, recentemente, la Suprema Corte ha ribadito l’autonomia del danno morale affermando che la sofferenza morale della vittima di molestie sessuali, poste in essere dai suoi superiori e culminate con lo stupro, rappresenta una voce di danno da liquidarsi autonomamente rispetto al danno biologico. (Cass. Civ. 4099/2020)

Risarcimento del danno morale: prova e criteri di quantificazione

Il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, deve essere sempre provato. Tuttavia secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la prova del danno morale da reputazione può essere anche presuntiva (Cass., sez. 3^, 18 novembre 2014, n. 24474, m. 633450), in quanto la sua liquidazione “va necessariamente operata con criteri equitativi, il ricorso ai quali è insito nella natura del danno e nella funzione del risarcimento, realizzato mediante la dazione di una somma di denaro compensativa di un pregiudizio di tipo non economico” (Cass., sez. 3^, 5 dicembre 2014, n. 25739, m. 633642).” (Cass. Civ. n. 2197/2016)

La giurisprudenza, per ragioni di ordine eminentemente pratico, ha liquidato il risarcimento danno morale spesso in via equitativa, a norma dell’art. 1226 del codice civile. I giudici, comunque, hanno elaborato anche diversi criteri , che consentono di stabilire in maniera non arbitraria l’entità dei danni in questione nei singoli casi concreti. In particolare:

  • l’ampiezza più o meno rilevante dell’ambito sociale in cui il fatto illecito ha avuto diffusione. Per cui il risarcimento viene proporzionalmente ridotto, in genere, se la diffusione del fatto è avvenuta in ambito abbastanza ristretto, mentre viene aumentato nel caso opposto.
  • la natura e il carattere delle offese recate, per cui il risarcimento sarà molto elevato, per esempio, se il fatto è particolarmente grave, se la sofferenza provocata risulta notevole, se vi è stato scopo di lucro ecc.
  • le condizioni sociali e la collocazione professionale della persona danneggiata, per cui il risarcimento dovrà essere tanto più elevato, quanto più significativa sarà la posizione sociale e professionale della persona stessa.

Il risarcimento danno morale e la diffamazione: un esempio pratico

E’ immediatamente percepibile come il reato di diffamazione possa causare danni patrimoniali e non patrimoniali più o meno significativi ed in particolare danni morali.

Un esempio molto recente si può ricavare da una sentenza del tribunale di Milano che ha condannato al risarcimento del danno morale la convenuta per le le frasi diffamatorie proferite nei confronti dell’attrice.

L’attrice, cittadina straniera, era in procinto di convolare a nozze con un cittadino italiano, allorquando la convenuta ha convocato i figli di quest’ultimo, esprimendo frasi poco lusinghiere nei confronti dell’attrice al fine di danneggiarne la reputazione e scoraggiare il matrimonio.

Le espressioni diffamatorie sono state del seguente tenore: cattiva, falsa, disonesta e approfittatrice.

La diffamazione è il reato previsto e punito dall’art. 595 del codice penale, e consiste nell’offesa che viene recata all’onore e alla reputazione di una persona: per esempio, attribuendo ad essa determinati fatti negativi non rispondenti al vero. La diffamazione può essere punita con la reclusione fino a un anno e la pena è aumentata – ai sensi del comma 3° del suddetto articolo – se l’offesa viene recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (ad es. un social media).

Nel caso di specie, il giudice, dopo aver richiamato l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale “l’onore e la reputazione costituiscono diritti della persona costituzionalmente garantiti, la loro lesione legittima sempre la persona offesa a domandare il ristoro del danno non patrimoniale, quand’anche il fatto illecito non integri gli estremi di alcun reato” (Cass. Civ. n. 25157/2008), ha ritenuto che la convenuta abbia leso l’onore e la reputazione dell’attrice e l’ha condannata al risarcimento del danno morale (non patrimoniale), nella misura ritenuta equa di Euro 7.000,00.

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